lunedì 9 novembre 2015

Tempra o resilienza? Doti naturali del cane o qualità acquisite con l’esperienza?

Verso la fine del 18° secolo, il grande poeta e pittore William Blake pubblicò la raccolta d poesie “Songs of Innocence and of Experience”, Canzoni dell'Innocenza e dell'Esperienza: rappresentazione dei Due Stati Contrari dell'Anima Umana.
Possiamo pensare all’Innocenza come a doti genetiche e all’Esperienza come interazione del soggetto con l’ambiente.

La discussione su quanto dell’uomo e del cane sia innato o acquisito è attiva da qualche centinaio di anni, molto prima quindi di Facebook ;)

Senza entrare nei dettegli, per cui rimando a Wikipedia:
secondo l’Innatismo il soggetto nasce con conoscenze già al momento della nascita, secondo il Comportamentismo la mente del soggetto è al momento della nascita una “tabula rasa”, una “scatola nera” dove tutto viene creato attraverso l’interazione con il mondo secondo stimoli e risposte agli stimoli.

In epoca più recente molti studi si sono concentrati su questa tematica con risultati sorprendenti:

Il comportamento è influenzato sia dalla genetica, sia dall’ambiente:

Both Environment and Genetic Makeup Influence Behavior
Do Genes Influence Personality?

La selezione attraverso il comportamento produce modificazioni morfologiche oltre che caratteriali:

Russian Domesticated Red Fox

E infine, l'interazione con l’ambiente produce modificazioni neurologiche:

Neurobiology of Resilience

Quindi sembra che sia gli innatisti sia i comportamentisti abbiano ragione, la genetica influenza il compotamento e il comportamento influenza a sua volta la genetica; e del resto sembra che su tutti abbia ragione Darwin, secondo cui l’evoluzione premia il soggetto più adattabile alle condizioni ambientali.

Per tornare a Tempra e Resilienza, è quindi ragionevole pensare che il comportamento del cane sia derivato da una componente genetica, che possiamo definire “doti naturali” e una componente derivata da addestramento o comunque da conoscenze acquisite con l’esperienza e non innate.

Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: la maggior parte di noi è in grado, con il dovuto allenamento, di completare una maratona (42 km di corsa).
Un kenyano molto dotato per la corsa senza allenamento non potrà arrivare al 42° km.
In ogni caso, molto pochi sono in grado di vincere la maratona di New York.

Nei circa 15000 anni di collaborazione attiva con l’uomo, sono state selezionate razze di cani particolarmente adatti a fare un certo tipo di lavoro, per cui ora abbiamo cani da pastore, da caccia, da guardia, da combattimento, da compagnia…

Se tuttavia vogliamo un ottimo cane pastore che difenda il gregge dai lupi, un cane da guardia, un cane da mandare in battaglia a ricercare esplosivi, non possiamo prendere un qualsiasi cane: dobbiamo prendere un soggetto particolarmente predisposto e addestrarlo al meglio, perché senza un addestramento adeguato, non otterremmo mai i risultati desiderati, e senza un “campione naturale” non possiamo avere un “campione”.

Allo scopo di selezionare i cani più idonei a un certo tipo di lavoro, sono state create una serie di “prove di lavoro”, ovvero una serie di esercizi che un cane deve affrontare per dimostrare la corrispondenza delle sue doti con quelle espresse dallo standard di razza nonché il grado di addestramento raggiunto.

Tempra: la Tempra è un termine zootecnico per classificare la capacità del cane di sopportare stimoli esterni spiacevoli fisici o psicologici e si misura tramite apposite e specifiche prove di lavoro in: Molle, Scarsa, Media e Dura.

Resilienza: la Resilienza è un termine usato in psicologia per descrivere la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici

Sebbene i due termini sembrino simili, quello che li differenzia è il contesto a cui si riferiscono.

Ad esempio: un pastore tedesco con tempra dura abbandonato dal padrone e chiuso in canile non mangia più e si lascia morire (resilienza bassa).

Ad esempio: un border collie con tempra bassa può nello stesso canile vivere tranquillamente, farsi amici ed aspettare una nuova famiglia adottiva in serenità (alta resilienza).

Ricordiamo sempre Darwin: sopravvive il più adattabile all’ambiente, non il più forte.

Il concetto di resilienza diventa importante nelle situazioni “senza speranza”

I fan di Star Trek si ricorderanno sicuramente del test della Kobayashi Maru, ideato per mettere alla prova le capacità di comando e il carattere del cadetto. Il test non ha una soluzione possibile, serve solo per capire come reagisce un individuo in una situazione senza via di uscita.

Un essere vivente sotto minaccia (stress) ha tipicamente due possibili scelte: fuggire o combattere.
Se entrambe le possibilità sono precluse, il soggetto entra in crisi e si "congela".

Non potendo sopportare lo stress “senza speranza” il cervello si “collega o rimane cosciente ma è il corpo a non rispondere. Questo tipo di risposta è molto comune nei casi di violenza sessuale, o in caso di eventi naturali catastrofici.

Molti parlano di risposta “fuga, combattimento o congelamento”.

La resilienza entra in gioco proprio in queste situazioni dove scappare o combattere non è possibile: più si è resilienti, meno si attua la risposta di “congelamento” e si tenta una strada per fuggire o combattere.

Uno studio importante sulla’ “Impotenza appresa” è stato condotto nel 1967 dal dottor Seligman su gruppi di cani a cui è stata proposta una situazione di dolore “senza speranza”.
Nell’esperimento si sottopongono a shock elettrico cani divisi in 2 gruppi:
  1. i cani potevano premere una leva per far cessare le scariche elettriche
  2. i cani non potevano uscire e premere la leva non faceva cessare le scariche elettriche.
In seguito i cani venivano collocati in un box con le pareti basse e sempre sottoposti a scariche elettriche. I cani del 1° gruppo abbandonavano subito il box, gli altri rimanevano “congelati”


Questi cani non provavano a fuggire nemmeno se vedevano altri farlo, mettendo in crisi il modello di apprendimento per imitazione di Bandura.

Questa parte del test mette in crisi anche il modello di Skinner sul condizionamento operante, i soggetti non rispondevano come nella Skinner Box.

A questi cani, che avevano "imparato ad essere incapaci", veniva poi “insegnato” nuovamente a fuggire sollevandoli e facendoli uscire dal box. In qualche seduta di riabilitazione i cani tornavano “normali”.

Questo esperimento, sebbene veramente orribile nella sua realizzazione, ha rappresentato l’inizio di una serie di studi sulla depressione e sulle sue possibili terapie attraverso l’aumento della resilienza.
E' anche una grande critica ai modelli di apprendimento basati sul rinforzo (positivo o negativo) di Skinner e il modeling di Bandura.

Se il test sui cani vi è sembrato crudele e poco probabile, guardatevi questo ;)


Tempra e resilienza sono due modi di definire alcuni aspetti del carattere, per alcuni versi sovrapponibili, per altri difficilmente scambiabili, e dovrebbero essere usati nel giusto contesto.

Con fiducia, rispetto e collaborazione

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martedì 3 novembre 2015

Educazione e addestramento del cane: è giusto dire “no” al proprio cane?

Chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’educazione e all'addestramento del cane potrebbe rimanere disorientato dalle diverse metodologie proposte, spesso molto in contraddizione fra loro.
Un esempio fra i più comuni è l'uso del “no”: si può o si deve dire “no” al cane, o usare questa parola è controproducente ai fini educativi?


In realtà la diatriba è cominciata molto tempo fa e non riguardava i cani ma i bambini. Negli anni ’40 il dottor Benjamin Spock pubblicò il libro “Common Sense Book of Baby and Child Care” dove si asseriva che i comportamenti non desiderabili non dovessero essere puniti ma ignorati, i comportamenti desiderabili dovevano invece essere premiati o meglio “rinforzati” (rinforzo positivo).

Perché, secondo questa scuola di pensiero il “no” è controproducente?
  1. non dice al cane quello che si vuole da lui
  2. viene spesso detto in modo minaccioso e questo potrebbe spaventare o intimidire il cane
  3. quando usato come punizione, inibisce il cane dal mostrare qualsiasi comportamento
  4. viene detto tanto spesso che alla fina il cane la ignora
  5. rinforza il comportamento del cane quando è volto semplicemente a cercare attenzioni
E’ abbastanza facile capire che le ragioni non siano poi così senza senso come si potrebbe pensare in un primo momento, tuttavia proviamo ad immaginare un paio di scenari:
  • il cane sta per aggredire il figlio dei vicini
  • il cane sta per mangiare al parco un boccone presumibilmente avvelenato
E’ altrettanto facile da capire che certi comportamenti semplicemente non possono essere ignorati ;)

Facciamo innanzitutto chiarezza su cosa intendiamo con “no”.

“No” significa: "smetti di fare quello che stai facendo".

Come si può vedere, definito in questo modo, il “no” non contiene di per sé stesso connotazioni negative o intimidatorie, è un comando semplice al pari di “seduto”, “fermo” etc. Quindi, se usato in modo corretto, i punti 2 e 3 non dovrebbero presentare un problema, o eventualmente il problema siamo noi che non sappiamo come usare il comando “no”.

Un po’ di linguistica:

Referente - significante - significato

Le parole - grafismi o fonemi - rappresentano un significante, ovvero la forma che che rinvia a un contenuto, cioè al significato. Il referente è l'oggetto specifico a cui ci riferiamo:

Ad esempio: "per favore, dai da mangiare al gatto"

Significante: la parola "gatto"
Significato: il "gatto", animale a 4 zampe, orecchie a punta, coda che miagola
Referente: il mio "gatto" a cui devo dare da mangiare è bianco e marrone e si chiama Tino

Linguisticamente parlando quindi:

Il suono “no” corrisponde a una parola (significante) a cui diamo arbitrariamente il significato di “smetti di fare quello che stai facendo”.  Il referente entra in gioco nel momento in cui il "no" viene contestualizzato nella situazione specifica, ad es. il nostro cane sta abbaiando al gatto dei vicini e noi vogliamo che smetta.

Se noi carichiamo il significato del “no” di valenze negative, intimidatorie o minacciose, ad esempio dandogli l'intenzione di "scemo di un cane, se non la smetti di fare quello che stai facendo ti do un colpo sul sedere con un giornale arrotolato", rischiamo di dare messaggi confusi al cane; nel caso dei bocconi avvelenati, ad esempio, il cane concluderebbe che noi non vogliamo che mangi dei buonissimi bocconi, che non è quello che noi vogliamo comunicare, perché noi intendiamo che non vogliamo che mangi "quei bocconi, in quel momento" (referente).
Il risultato potrebbe essere che la prossima il cane cercherà di mangiarli velocemente o di nascosto per non essere sgridato, o che in soggetti particolarmente sensibili non voglia più mangiare in nostra presenza (per quanto sia difficile a credersi, provate a digitare "My dog is afraid to eat around me" su Google).

Spesso vedo accompagnare il “no” con una tirata di guinzaglio, intesa come (piccola) punizione; il nostro “no” perde il significato neutro che gli abbiamo attribuito in precedenza e il cane riceve messaggi confusi. Eventualmente il guinzaglio può servire ad attirare l'attenzione del cane se siamo in un ambiente rumoroso, come può essere una strada. Anche qui il significante può essere uguale, ma il significato molto diverso.

Se usiamo il "no" nel senso di "smetti di fare quello che stai facendo", il cane si ferma, ci guarda per capire cosa vogliamo da lui, noi lo richiamiamo e lo gratifichiamo con coccole, gioco, bocconcino secondo i gusti nostri e quelli del cane, il cane farà un'associazione positiva fra il comando "no" e un'esperienza piacevole, sarà quindi più propenso a ubbidirci in futuro.

Attenzione a come e quando si usa il “no”, con i cani (e con gli umani) !

Facciamo un gioco:

Stiamo parlando di cani, non pensate al barattolo di Nutella quasi finito nell’armadio in cucina!

Ci siete riusciti? O vi è venuta voglia di affondare il cucchiaio dentro quella deliziosa crema di nocciole e cacao prima che finisca?

La maggior parte dei messaggi pubblicitari vincenti si basa sui cosiddetti “comandi nascosti”; la cosa più affascinante è che la negazione non viene assolutamente considerato dal cervello umano, viene letteralmente cancellata.
La mente del cane è meno speculativa della nostra, ma i meccanismi non sono molto diversi: se il cane vede un bocconcino il suo cervello manda il segnale: “bocconcino bocconcino bocconcino…” se noi gli diciamo "non mangiare quel bocconcino" sarebbe come dire a Omer Simpson "Non bere l'ultima birra in frigorifero", il suo cervello manderà il messaggio: "hai sete, e c'è una birra in frigo" ;)

Il "no" non è una negazione: è un comando.

I comandi devono essere chiari e univoci; quando si dice "no" al cane pensate mentalmente "smetti di fare quello che stai facendo", potrete notare differenze nel tono a seconda di quello che pensate mentre dite quel "no". Gli attori chiamano questa tecnica "sottotesto" ed è molto efficace per indirizzare correttamente la comunicazione.

Per quanto riguarda il punto 1, "non dice al cane quello che si vuole da lui", con la definizione che abbiamo dato del “no”, il significato è chiarissimo: vogliamo che il cane smetta di fare quello che sta facendo ;)
Se il “no” è chiaro, il cane smette di fare quello che sta facendo e si mette in “stand-by” in attesa di nuovi comandi (ad esempio “vieni qui”).

Il punto 4, "viene detto tanto spesso che alla fina il cane la ignora", mi ricorda una lezione in un campo a cui ho assistito tempo fa: i “no” erano così frequenti che erano diventati un rumore di fondo... ma è veramente possibile che un cane non faccia niente di giusto per più di un’ora di seguito? ;)

Il sociologo Zygmunt Bauman ci mette in guardia: “Si potrebbe dire che la linea che separa un messaggio importante, l’oggetto apparente della comunicazione, dal rumore di fondo, suo dichiarato avversario ed ostacolo, è praticamente scomparsa “.

Se vogliamo comunicare in maniera efficace con il nostro cane, dobbiamo far sì che quello che vogliamo dire si differenzi dal rumore di fondo, e che non sia esso stesso un rumore di fondo ;)

Il punto 5, "rinforza il comportamento del cane quando è volto semplicemente a cercare attenzioni", è un discorso particolare, a volte i cani, come i bambini, adottano dei comportamenti (strategie) per attirare la nostra attenzione.

Un esempio (gioco) spesso citato in Analisi Transazionale: il bambino vuole attenzioni dalla mamma, attua una serie di comportamenti fra cui rubare la marmellata, la mamma sgrida il bambino perché ha rubato la marmellata dandogli attenzione: il bambino ottiene quanto desidera (attenzioni) ruberà quindi ancora la marmellata ;)

Ad esempio: ci fermiamo per strada a chiaccherare con amici, il nostro cane si stufa e abbaia, noi lo sgridiamo e gli diciamo "no"... il cane continuerà ad abbaiare ;)

Al di là di casi particolarmente problematici eventualmente da esaminare nello specifico, al nostro cane basta dare un po’ di attenzioni e i comportamenti indesiderati spariranno. Va da sé che le "attenzioni" sono da considerarsi da un punto di vista canino: se il cane vuole uscire a fare una passeggiata e noi gli facciamo le coccole, non funziona ;)

Perché il cane dovrebbe ubbidirci quando gli diciamo "no" ?

Se vogliamo che il “no” abbia un senso per il cane, è importante che il cane abbia fiducia in noi, così che pensi che se lo diciamo è per il suo bene, che alla fine ne avrà un beneficio.

E' anche importante che il cane abbia rispetto per noi, ci consideri una guida a cui fare riferimento.

Se connotiamo il “no” di valenze negative, il rispetto diventa paura e la paura fa allontanare il cane da noi, vedi: Educazione e addestramento del cane: il cane deve aver paura di noi?

Se comunque la parola "no", proprio non vi piace, potete usare il "Ah ah!" di Victoria Stillwell o se preferite Qo’ o Nirsh,  che significano "no" rispettivamente in Klingon e Vulcaniano, a De Saussure, che sottolineava come il linguaggio fosse arbitrario, sarebbe comunque piaciuto ;)

Con fiducia, rispetto e collaborazione

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